Corrado Orrico, un vero rivoluzionario non si pente mai
04-12-2025 10:44 -
MASSA CARRARA - Gianni Brera non si scomodava per i mediocri. Lui, il poeta della Bassa padana, a pranzo portava soltanto chi lo meritava. I personaggi, i visionari, gli innovatori. Brera sapeva che Corrado Orrico da Volpara, Massa, leggeva e citava Schopenauer, girava con in tasca i racconti di Bukowski. Citava Leopardi e Joyce. Brera portò Orrico a bere Grignolino appena fuori Milano, in quella bruma che solo la Lombardia sa regalare. Un’investitura, per l’omone di Volpara. Sedere con il Vate della letteratura sportiva valeva più di mille vittorie, perché significava entrare nel Nirvana dei poeti maledetti del calcio italiano. Degli innovatori, dei visionari. L’Omone, estate 1991, tentò l’impossibile. Portare la semplice durezza della provincia apuana nella pancia della grande Milano, nella Cattedrale enorme, gelida, paralizzante di San Siro. La marcatura a zona, la difesa a tre, il portiere “alto” che rimedia allo svarione del difensore: Orrico lo aveva capito decenni prima. Era la risposta interista ad Arrigo Sacchi, magnifico rettore del Milan degli Invincibili. Lo volle il presidente Pellegrini, dopo che l’Omone aveva sfiorato la serie A con la Lucchese più bella di tutti i tempi. Ad Appiano Gentile, santa sanctorum nerazzurro appena abbandonato da Trapattoni, si accorsero subito di quella gabbia di metallo, alta, imponente, circondata da reticolato. La gabbia che il giovane Orrico, alla fine degli anni Sessanta, aveva visto a Livorno, dove negli stabilimenti balneari ci si sfida sotto il sole rovente del mezzogiorno, a torso nudo, cinque contro cinque, con la palla che non esce mai, sponda su sponda. Un esercizio di tecnica, pazienza, atletismo cui si erano sottoposti, in costume e scarpe da tennis, anche leggende come Picchi, Corso, Suarez e Mazzola. Corrado ne rimase folgorato. Per lui era il sistema perfetto di allenamento. Alla Carrarese, al centro sportivo di Luni, ne fece edificare una con tubi di metallo montati dai tifosi. A Brescia ne nacque una allo stadio Rigamonti. E infine ad Appiano Gentile, la sfida delle sfide. Matthaeus, Klinsmann, Bergomi costretti ad esercitarsi dentro quella rete da pollaio. Una rivoluzione copernicana che soltanto un geniaccio di collina come lui poteva immaginare. Ma Milano è lontana, dall’altra parte della luna, poeterebbe Dalla. E così, giorno dopo giorno, la rivoluzione dell’uomo che citava Schopenauer fallì. La gabbia imprigionò i talenti interisti, invece di esaltarli. Il vecchio sistema calcio espulse i metodi orrichiani come corpi estranei, il rivoluzionario venne ingoiato dalla Restaurazione di un calcio che non capiva, non poteva capirlo. Sei mesi dopo il trionfale sbarco nel calcio che conta, Corrado Orrico prese i bagagli e tornò a casa. Bruciato, irrimediabilmente e per sempre, dal giro che conta. Oggi, a 85 anni, nella solitudine della sua Volpara l’Omone ci ripensa. A Brera, a quel pranzo, alla gabbia, a San Siro troppo grande e troppo freddo, ma non si pente. Un vero rivoluzionario non si pente mai.